Stefano Pini festeggia la sua carriera da dirigente accompagnatore del settore giovanile di Virtus Unipol Banca regalandosi l’ennesima Finale Nazionale. Questa volta tocca agli Under 20, il gruppo che segue in questa stagione, ormai la dodicesima nella casa bianconera. E’ un veterano che non si stanca di esserlo. Anzi, ne è orgoglioso.

“La storia l’ho raccontata un anno fa: ho iniziato accompagnando alla Porelli mio figlio Giacomo, vedendogli fare in campo tutta la trafila delle giovanili. Da abbonato fedele, già entrare in quel tempio del basket era un sogno. Poi, grazie a una chiamata di Consolini, mi sono trovato a seguire squadre del settore giovanile, e non ho più smesso. Dodici stagioni? Sì, credo sia così, ma se devo dirla tutta non le ho mai messe in fila né contate…”

Sta di fatto che questo di Roseto, dove è impegnata l’Under 20 di Federico Vecchi, è l’ennesimo atto finale di un campionato nazionale.

“La mia prima finale fu quella con cui conclusero la permanenza nel settore giovanile i ragazzi delle annate 1988 e 1989. C’erano Pederzini, Masciadri, Stojkov, Da Ros, tutti giocatori che poi si sono costruiti una bella carriera, e anche questa è una grande soddisfazione per uno che li ha visti crescere. Da allora ho messo nella mia personalissima bacheca, che intendiamoci non è quella di un allenatore, due scudetti di categoria, il bel secondo posto della scorsa stagione con l’Under 18, diversi piazzamenti significativi. Sì, devo dire che è stata una gran bella esperienza, e la cosa più importante è che posso parlarne al presente, è un capitolo ancora aperto della mia vita”.

Difficile scegliere tra questi momenti indimenticabili un’emozione, un attimo più luminoso degli altri.

“Ogni finale ha la sua storia, al di là di come vanno a finire le cose. Avendo la fortuna di essere alla Virtus, posso dire di averne saltate pochissime. Ognuna mi ha dato qualcosa, soprattutto dal punto di vista umano. Anche essere qui a Roseto, con questi ragazzi, mi sta arricchendo dentro”.

Un gruppo particolare, l’Under 20. Fatto di ragazzi che spesso non riescono ad allenarsi insieme, perché qualcuno è già nell’orbita della prima squadra, o ha iniziato un percorso oltre il settore giovanile disputando campionati minori, col doppio tesseramento. Eppure capace di ritrovarsi in una gara da “dentro o fuori”, battere i campioni in carica della Reyer Venezia e arrivare dritto alla finalissima.

“A questo appuntamento non ci sono i ragazzi che ormai frequentano stabilmente la prima squadra. Sapevamo che avremmo fatto un po’ di fatica in più, senza di loro, ma chi va in campo si dà parecchio da fare, c’è armonia. E’ una squadra giovane, naturalmente, composta al 70% da Under 18 che si fanno le ossa in due campionati, e qui si scontrano con realtà diverse, con giocatori più attrezzati fisicamente, più pronti per il semplice fatto di essere più grandi. In squadra ci sono quattro giocatori nati nel ’98: Ranocchi, Carella, Berti e Zanotti. Gli altri sono tutti del ’99, addirittura del 2000. Questo è un campionato un po’ particolare, l’hai detto e confermo, arrivano formazioni che magari sono riuscite a rinforzarsi in extremis, e affrontarle diventa dura. Per questo la vittoria su Venezia ha un valore enorme”.

Ed è certamente uno stimolo per questi giovani. Un cancello per entrare nel futuro.

“Un bel traguardo, certamente. Giocano ad alto livello e fanno un’esperienza importantissima, soprattutto i più piccoli del gruppo, che si trovano in campo con gente più esperta, e imparano da situazioni come questa. Fa parte del loro percorso di crescita”.

Quasi tutte le formazioni del settore giovanile di Virtus Unipol Banca veleggiano verso le rispettive Finali Nazionali. Un bel segnale…

“Significa che in Virtus si lavora bene, che c’è gente che si prende cura dei giovani e sa come crescerli, sportivamente parlando. Senza dimenticare che qui le regole sono importanti, è uno sport che insegna la vita”.

In questo ambiente, uno come Stefano Pini si trova a meraviglia, par di capire.

“Mi piace la pallacanestro, fin da quando ero un ragazzo. E mi piace quella giovanile, davvero tanto. Ormai in questo ambiente conosco tanta gente, dirigenti di altre società, arbitri, organizzatori. E’ un mondo in cui mi ritrovo. Ci abito da più di dieci anni e ogni volta che viviamo l’emozione di una Finale Nazionale è una carica emotiva enorme. E siamo la Virtus, la gente ci rispetta, è contenta di rapportarsi o confrontarsi con noi”.

Qualche tempo fa dicesti che una buona partita di basket giovanile non ha poi molto da invidiare, quanto a carica emotiva, tensione e passione, alla pallacanestro dei “grandi”.

“Il basket giovanile, quando lo vedi giocare a questi livelli, è bello e spesso divertente. Io ho sempre seguito formazioni di ragazzi grandi, la scorsa stagione accompagnavo giocatori di 17 o 18 anni, quest’anno mi ritrovo in mezzo a diciannovenni o ventenni. Sono uomini che giocano a pallacanestro, ecco tutto. Nei loro gesti c’è fisicità, atletismo, tecnica già sviluppata. Ed è bello cercare di comprendere questi ragazzi, capire quello che percepiscono, misurare la loro capacità di concentrazione, la loro voglia di migliorare. Ogni tanto torno ad incontrare qualcuno di loro, che magari nel frattempo ha fatto una buona carriera, arrivando ai piani alti della pallacanestro. In quei momenti mi viene da pensare che li ho visti a diciassette anni, ancora con un punto interrogativo sopra al loro futuro, e in fondo è un cerchio che si chiude. Hai fatto qualcosa, nel tuo piccolo, per aiutarli a crescere e ora ti dedicano un saluto, perché si ricordano di te e di quei momenti. E’ una soddisfazione grande, anche per me”.