Con questa, sono nove stagioni in casa Virtus. La fedeltà del dottor Roberto D’Ovidio, responsabile medico del settore giovanile di Unipol Banca, va di pari passo con una passione che va ancora più indietro nel tempo, fino ai giorni illuminati dalla stella di Ray “Sugar” Richardson, il primo amore del tifoso che ancora doveva diventare medico. Quella passione non è mai venuta meno, naturalmente, ma saperla frenare quando occorre è un segnale di professionalità.

“Me lo spiegò subito il dottor Roberto Rimondini, quando entrai alla Virtus sotto la sua supervisione. Lui di questa società è stato una colonna, resterà nella storia, e il suo amore per la V nera non si discute. Eppure mi insegnò immediatamente che per lavorare qui occorreva mantenere un certo distacco. E aveva ragione: la mia è una professione che richiede freddezza nelle valutazioni, ed è questo che ti chiedono i dirigenti, i giocatori e i loro familiari. La responsabilità viene sempre prima della passione”.

Nove anni, ma questo è in effetti il secondo da quando la squadra del settore giovanile si è riorganizzata sotto la responsabilità di Federico Vecchi.

“Nel frattempo abbiamo imparato a conoscerci, e il lavoro si sviluppa in maniera sempre migliore perché abbiamo oliato il meccanismo e raggiunto un ottimo feeling. Direi che adesso siamo davvero a pieno regime, le cose funzionano bene e c’è una grande volontà di collaborare secondo la linea tracciata da chi ha la responsabilità del settore”.

Con qualcuno non c’è stata necessità di rodaggio.

“E’ il caso di Iacopo Marzocchi, il fisioterapista, che ha praticamente la mia stessa anzianità. Normale che ci si intenda con uno sguardo. Lui sa come la penso, quello che credo vada fatto in certe situazioni, e l’esperienza rafforza il nostro sodalizio. Ma il rapporto è fantastico anche con chi è arrivato successivamente in Virtus, perché andiamo tutti nella stessa direzione”.

Lavorare con gli atleti più giovani non è solo una responsabilità. E’ anche capacità di essere flessibili, perché un tredicenne non ha le stesse esigenze di un quasi ventenne.

“Bisogna essere attenti a tante cose. Ogni età ha le proprie peculiarità e difficoltà, che cerchiamo sempre di tenere nella debita considerazione I lavori proposti non possono prescindere dall’età del soggetto. Coi più piccoli entra anche in gioco la famiglia: i genitori si fidano, ma questo rapporto diventa oltremodo importante, perché dobbiamo dare credibilità a quello che facciamo. Anche le patologie sono differenti, non ci sono similitudini col mondo adulto. Cambiano i trattamenti, i tempi di recupero, le aspettative. E’ importante sapersi muovere in base all’età e alle prospettive di un giocatore”.

Poterlo fare in Virtus è certamente un aiuto importante.

“Sicuro. Avere un nome così alle spalle dà garanzie, e la sicurezza del fatto che quello che stai facendo ha l’appoggio della società. A livello nazionale noi della Virtus siamo al top, e non siamo noi a dirlo. Quando una famiglia porta un ragazzo qui sa che troverà professionisti seri, che sarà seguito a livello professionale e umano. E anche noi sappiamo che se siamo stati scelti qualcosa di buono e utile, a livello professionale, abbiamo fatto”.

Una soddisfazione, essere in questo gruppo di lavoro?

“Enorme. Perché il mio lavoro è stato gratificato attraverso questa scelta. Se sono qui da nove stagioni, mi viene da pensare senza peccare di immodestia che il mio contributo sia stato adeguato alle richieste di una società professionistica di grande blasone. C’è da esserne fieri”.

Poi, di tanto in tanto, si può lasciare spazio anche al D’Ovidio tifoso…

“Quando si va alle partite, quello viene sempre a galla. Un po’ ci si trasforma, inutile negarlo. L’importante è saperlo fare nella misura giusta. E in questo senso non ho timori, perché la lezione del dottor Rimondini è sempre presente nella mia mente”.