Arriva sempre il momento della prima Finale Nazionale. Anche per un veterano della V nera come Mattia Largo, undici stagioni complete e ricche al servizio del settore giovanile bianconero, con belle soddisfazioni anche personali come due tricolori Under 17 conquistati da assistente, il titolo regionale Under 14 di un anno fa (senza la macchia di una sconfitta) e quello Under 15 di questa annata. Fino all’evento clou, appunto: la Finale Nazionale Under 15 Eccellenza – Trofeo Claudio Papini, svoltasi tra Porto San Giorgio e Pedaso, in cui Virtus Unipol Banca è arrivata ai quarti di finale. Tra le prime otto squadre d’Italia, nella sua categoria.“E’ stata la conclusione di un percorso lungo tre anni, la prima occasione di poter disputare le finali nazionali. Era certamente un obiettivo per far fare un’esperienza nuova ai miei ragazzi. E lo è stata decisamente: bella e non scontata, perché tante realtà importanti e blasonate non sono riuscite ad arrivarci. Una volta lì, essere riusciti a passare il primo girone e a qualificarci tra le prime otto squadre di categoria in Italia è stato un altro grande risultato. Ma la cosa che mi soddisfa è che è stato il giusto riconoscimento per quello che questi ragazzi fanno per tutto l’anno, impegnandosi tra scuola e palestra, con gli impegni della prima superiore e quattro allenamenti settimanali, un impegno gravoso che meritava una gratificazione”.

Tutta la stagione è stata delicata e importante, quasi volta a far dimenticare a questi giocatori il percorso da imbattuti di un anno fa.

“Non è stato semplice, soprattutto all’inizio, ma i ragazzi sono stati molto ricettivi. Hanno capito in fretta che nessuno fa regali. Hanno subìto anche qualche stop significativo. Ma sono arrivati fin qui, e questo mi rende orgoglioso di loro”.

Qualche ringraziamento particolare?

“Non è mia abitudine, ma questa volta vorrei dire grazie a quattro ragazzi del 2003 che si sono fatti carico di due annate intense, e per quanto mi riguarda, loro lo sanno, sono già un punto fermo nel gruppo del 2002. Sono Galli, Salsini, Barbieri e Ruffini. Fondamentali”.

Prima volta anche per un “veterano” del settore, si diceva.

“Per me è stata un’emozione grande, la prima esperienza da capo allenatore alle finali nazionali, dopo tante partecipazioni da vice. Il risultato è stato davvero buono: abbiamo incontrato squadre forti come Cantù, che dal nostro girone ha preso il largo per poi chiudere al terzo posto, o come Siena che ci ha battuto ai quarti ed è arrivata fino alla finale. Incroci non semplici, ma utili per fare esperienza, quindi occasioni vere per la crescita del gruppo”.

Che passa attraverso quali insegnamenti e quali valori?

“I miei giocatori hanno interpretato questa finale, come del resto tutta la stagione, con grande passione, ed è quello che sto cercando di trasmettere loro. La voglia di mettere cuore in quello che fanno è fondamentale, la pallacanestro per loro deve ancora essere un gioco, per quanto sempre più impegnativo, e non ancora una professione. Li vedo crescere come persone, oltre che come giocatori, ed è uno sviluppo di cui mi piace essere testimone. E’ bello viverli come ragazzi, nella loro crescita quotidiana”.

La carica emotiva, oltre a quella tecnica. Il lavoro in palestra, per Mattia Largo, deve dunque passare da lì?

“La passione è la prima cosa che cerco di trasmettere ai giovani. E’ qualcosa da spendere nella pallacanestro come nella vita, certamente ti porterà anche a fare errori, ma di sicuro ti aiuterà a non avere rimpianti o rimorsi. I ragazzi capiscono quando un allenatore ne è provvisto, e sono pronti a ricambiare, a sacrificarsi per un’idea”.

E il Largo allenatore che valore dà a questo traguardo raggiunto?

“Da vice allenatore ne ho vinte un paio, di Finali Nazionali. Già così è stata un’emozione intensa, perché significa vivere una settimana di unione completa, sempre a tu per tu con i ragazzi, respirando adrenalina pura perché ogni partita è da dentro o fuori. Da capo allenatore ti rendi conto che aumentano le responsabilità, e questo ti fa vivere sensazioni ancora più forti. Io ho coronato un sogno, in questo percorso bianconero: undici anni fa non avrei mai pensato di poter arrivare a una finale nazionale da capo allenatore. Vivo di pallacanestro da quando avevo sei anni e ho iniziato a tenere il pallone in mano, per me arrivare a questo punto, per di più qui in Virtus, la società di cui fin da bambino sono tifoso, è il massimo della vita e del percorso professionale”.

Archiviata una stagione ad alta quota, arriva subito il momento di guardare oltre.

“Una persona molto cara mi ha insegnato che l’asticella va sempre alzata, evitando di fermarsi a rivedere quello che si è fatto. Mai sedersi, nell’insegnare ai propri giocatori ma anche nell’apprendere. Poter fare della pallacanestro un mestiere è già stato un grande risultato, per me, molto più di un sogno. Oggi la disciplina che più amo è anche un mestiere, sono fortunato. Cercherò di andare avanti per la mia strada, di farci camminare i miei ragazzi con grande umiltà. Perché bisogna sempre ricordare da dove si è partiti, per andare avanti”.