Livornese 100% , frutto di un vivaio che ha prodotto fior di giocatori, Gianfranco, detto Dado per via della sua “compattezza” da ragazzo veniva a Bologna col padre per vedere la Virtus dei due scudetti, quella di Alesini, Pellanera, Calebotta e Canna.

E fu un sogno per lui quando il presidente Zambonelli, pagandolo 40 milioni, lo ingaggiò a soli 17 anni e gli diede la maglia numero 6 che avrebbe indossato onorevolmente per 12 stagioni diventandone un simbolo.

Non ebbe mai l’opportunità di vincere lo scudetto ma fu capocannoniere nel 1964 e nel 1967 e divenne una colonna della nazionale italiana in cui debuttò a soli 17 anni nel 1959.

L’anno seguente infatti partecipò alla prima delle sue Olimpiadi, quella di Roma 1960, dove l’Italia che annoverava altri tre virtussini (Alesini, Canna e Calebotta) stupì il mondo giungendo quarta battuta in semifinale dalla squadra di collegiali più forte mai schierata dagli USA.

E lui venne eletto nel miglior quintetto dei Giochi a fianco di atleti che divennero poi miti del basket americano come Oscar “big O” Robertson, Jerry West, John Lucas e Adrien Smith, tutti futuri All Famer e Imhof, Bellamy e Dishinger poi tutti All Stars. 

Altre imprese aspettarono Mc Lombard in maglia azzurra, altre due Olimpiadi di Tokyo e Città del Messico e due Campionati Mondiali, a Rio de Janeiro 1963 e a Montevideo 1967.

Dopo Roma lo chiamarono i New York Knicks ma non se la sentì di lasciare la Virtus in cui rimase sino al 1970 quando Porelli lo sacrificò nel progetto di rinnovo della squadra.

Dado dopo la Virtus fece due campionati alla Fortitudo ed un’ultima con Rieti per poi iniziare la lunga carriera di allenatore.

30 anni sulle panchine di tutt’Italia iniziando proprio da Rieti e finendo con Cantù, Reggio e Varese, curiosamente da allenatore difensivista, lui che era un tiratore.

Con Dado se ne va uno dei dieci giocatori più importanti della storia della Virtus che hanno fatto appassionare una generazione alla V nera.

(Franco Vannini)